DDT in Italia: strategie di guerra, ricostruzione, colonizzazione a colpi di spray .

Paludi, DDT e guerra fredda

All’interno della rassegna di letture in compagnia del Tirreno e del tema della bonifica in Italia, una pagina dedicata all’uso del DDT in Italia.

Testo estratto da Accademia nazionale delle scienze…

Nel 1945, per la lotta alla malaria,  venne annunciata una nuova arma  che avrebbe eradicato la malattia in cinque anni. Si trattava del dicloro-difenil-tricloroetano, a tutti noto come DDT. Il DDT non era un nuovo prodotto chimico, ma era stato sintetizzato nel 1874 in Germania, e nel 1939 era stata  dimostrata l’azione insetticida.

L’utilizzazione in Italia del DDT e’ strettamente legata agli Stati Uniti d’America, in una politica che fu di guerra, di ricostruzione, di colonizzazione e che si propagò a livello internazionale.

Il prodotto chimico fu introdotto dall’esercito americano nel dicembre del 1943 per debellare un’epidemia di tifo a Napoli. Usato senza conoscerne gli effetti collaterali su più di un milione di abitanti, in sole tre settimane dette ottimi risultati. Nell’estate del 1944,  non ancora noti gli esiti la campagna contro il tifo, venne sperimentato anche per combattere la malaria a Castel Volturno.

Un nuovo esperimento ebbe luogo ad Ostia e, nel giugno del 1945,  poi esteso al delta del Tevere e nella zona sud orientale della Pianura Pontina.

Fine immediato di questa operazione non fu la salute degli abitanti della regione, ma anzitutto la protezione delle truppe alleate. Gli Stati Uniti cominciavano inoltre quella politica volta ad accaparrarsi zone di influenza da strappare all’antagonista sovietico.

Prese così piede la “soluzione americana” al problema della malaria: una lotta che utilizzava un metodo economico, veloce ed efficace. L’utilizzo dell’insetticida portava con sé una concezione della malaria che da problema sociale diveniva entomologico: la rapida tecnologia invece di un programma di riforme sociali,  di più lenta realizzazione.

In realtà, a decretare il successo nella lotta alla malaria fu l’integrazione di DDT con gli strumenti ereditati dalle campagne italiane nella prima metà del Novecento, in particolare la legislazione sulla malaria, nonché il costante impegno ufficioso di medici, letterati e civili per l’istruzione delle masse indigenti, principali vittime della malattia.

Quando i bombardieri americani spruzzarono il DDT nella zona pontina, l’indice di mortalità  si era infatti  già molto ridotto grazie alla riapertura, dopo la guerra,  delle Scuole Rurali con cui si puntava  a istruire la popolazione locale sui meccanismi della trasmissione della malattia, facilitare la distribuzione del chinino, incentivare l’adozione delle zanzariere alle finestre.

Simili tappe seguì la campagna del DDT in Venetonel 1946. La regione aveva assistito a una progressiva recrudescenza della malattia a causa della guerra, con l’abbandono dei campi, l’indigenza, la malnutrizione, il passaggio delle truppe. Anche qui, prima della diffusione di DDT, l’Istituto Interprovinciale delle Venezie si spese per la profilassi, la terapia, l’alfabetizzazione, la riapertura delle scuole locali e dei sanatori per bambini.

La Allied Control Commission accolse la proposta dei malariologi della Rockefeller Foundation:  usare il DDT su una scala più ampia. Il piano prevedeva una suddivisione dell’Italia in quattro zone in base al tipo e alla diffusione del vettore malarico: 1) la pianura padana; 2) il litorale veneto-emiliano ; 3) l’ area centro-meridionale a nord e a sud di Roma; 4) l’Italia meridionale e insulare.

La campagna iniziò nella zona delle Pianure Pontine, conseguendo nel 1946 buoni risultati. Una cospicua parte del finanziamento del programma quinquennale fu offerta dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), che stanziò più di un miliardo di dollari.

Alla previsione entusiastica di una via veloce per la risoluzione del problema malarico in cinque anni,  l’ACIS pero’ rispose con maggior cautela. L’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità introdusse infatti la rettifica del piano quinquennale: all’idea dell’eradicazione della malaria attraverso l’uso esclusivo del DDT, se ne sostituiva una più ampia, riaffermando sostanzialmente il principio di  interventi di piccola bonifica, cura del malato, preparazione di uno staff tecnico.

Storia diversa ebbe l’eradicazione della malaria in Sardegna. Si realizzava qui il “Sardinia Project”, che intendeva la soluzione del problema malarico attraverso l’eliminazione diretta del vettore, l’Anopheles labranchiae, secondo la strategia caldeggiata dalla Rockefeller Foundation e  gia’ utilizzata positivamente in Brasile. Nel 1946 venne quindi istituito l’Ente Regionale per la Lotta Antimalarica in Sardegna (ERLAAS).

Il Sardinia Project fu un esperimento tecnico-scientifico e al tempo stesso una mossa della strategia economica, politica e militare degli Stati Uniti per il controllo di un’importante area del Mediterraneo.

 

Il Sardinia Project ebbe vicende tormentate ed esiti discutibili. Realizzato agli inizi della Guerra Fredda e sostanzialmente calato dall’alto, senza il coinvolgimento della comunità medico-scientifica, delle amministrazioni e delle strutture sanitarie locali, vide l’opposizione del Partito Comunista Italiano.

Il Sardinia Project si definì in parte in corso d’opera, proprio perché approssimativo fu lo studio entomologico ed epidemiologico che precedette il suo programma. Anzitutto la Sardegna non contemplava diverse specie di zanzare: era quindi necessario rettificare il programma in direzione di un’eradicazione di tutta la specie, nell’impossibilità di localizzare con precisione i luoghi di riproduzione delle specie anofele.

La presenza di zanzare non era poi circoscritta a specifici territori, ma diffusa anche in zone montane, e in ogni corso d’acqua, anche il più piccolo e lontano dai ricoveri umani. A supporto della campagna del DDT furono quindi utilizzati anche lanciafiamme per eliminare i roveti, aerei per raggiungere le zone di più difficile accesso, dinamite per favorire il drenaggio delle acque altrimenti ingovernabili.

Il Sardinia Project non riuscì nel suo obbiettivo:  a conclusione della campagna, nel 1951, l’isola era libera dalla malaria, ma non aveva eradicato l’Anopheles labranchiae. I costi furono altissimi e non solo immediatamente economici.

Da un punto di vista ecologico l’uso massiccio del DDT causò gravi danni, come ad esempio l’avvelenamento dei corsi d’acqua e dei bacini acquiferi, che ebbe conseguenze economico-sociali nel settore della pesca d’acqua dolce.

A conclusione delle campagne del DDT nell’Italia continentale e insulare, la malaria era comunque eradicata. Gli ultimi casi di terzana maligna per Plasmodium Falciparum si registrarono in Sicilia e Sardegna nel 1952.  Nel 1965 si richiedeva all’Organizzazione Mondiale della Sanità di dichiarare l’Italia libera dalla malaria. La dichiarazione dell’OMS fu data nel 1970.

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