L’Italia custodisce un ingente patrimonio minerario in cui sono stratificati valori identitari e memorie sociali da conservare e riqualificare a fini turistici-culturali.  Miniere, cave, giacimenti da raggiungere in bici, tutto l’anno, lungo la futura ciclovia Tirrenica.

Miniere

Il nostro Paese rappresenta, a livello mondiale, uno dei luoghi dove maggiormente si è sviluppata la cultura e l’arte legata all’estrazione dei minerali. L’Italia conserva infatti un vasto e originale patrimonio industriale legato all’estrazione e lavorazione dei minerali, nonché un variegato patrimonio geominerario, a cui si aggiunge la storia mineraria più a lungo documentata. La Toscana, dopo la Sardegna, è la seconda regione con il maggior numero di siti.

(dettaglio Liguria-Toscana-Lazio della rete ReMi)

Proviamo ad avvicinarci a questo mondo nascosto, seguendo gli itinerari in bici che abbiamo raccolto lungo il Tirreno.

Percorsi in bici

Elenco dei percorsi in bici alla scoperta del passato di uomini e miniere lungo la futura ciclovia Tirrenica. Aiutateci ad arricchirlo con nuove proposte.  segue…

In aggiunta, segnaliamo il “Percorso delle Miniere” al Capoliveri Bike Park dell’Isola d’Elba segue…

Approfondimenti

Testi elaborati da:

  • La rete nazionale dei parchi e dei musei minerari, viaggio nell’italia mineraria”, Ispra segue…
  • Storia industria mineraria italiana”, S.Santini segue…

(torre mineraria sul Monte Argentario, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Patrimonio dell’umanità

Il nostro Paese rappresenta, a livello mondiale, uno dei luoghi dove maggiormente si è sviluppata la cultura e l’arte legata all’estrazione dei minerali. L’Italia conserva infatti un vasto e originale patrimonio industriale legato all’estrazione e lavorazione dei minerali, nonché un variegato patrimonio geominerario, a cui si aggiunge la storia mineraria più a lungo documentata.

La storia mineraria italiana trova le sue origini tra le prime popolazioni italiche. I resti e le testimonianze di oltre ventotto secoli di attività estrattiva lungo la penisola (dai siti preistorici in Calabria alle miniere etrusche dell’Isola d’Elba, dalle miniere di zolfo siciliane alle cave di marmo nelle Alpi Apuane), costituiscono un patrimonio di dati scientifici, antropologici e storico-culturali assai elevato, con significative potenzialità divulgative e turistiche non ancora apprezzate appieno.

In Toscana, a Massa Marittima, nella metà del XIV secolo si pubblica il primo Codice Minerario, che ancora oggi nella sua essenza specifica, vige in quasi tutto il mondo.

I siti minerari rappresentano la tipica sintesi di patrimonio industriale, archeologico, culturale, storico e paesaggistico intorno alla quale si sono sviluppate aggregazioni sociali e comunità che hanno determinato le condizioni essenziali per la crescita economica e sociale del paese.

(estratto dal film omonimo dell’istituto Luce, girato nelle miniere di ferro dell’isola d’Elba, nello stabilimento Ilva di Porfoferraio e in quelli di Piombino e Bagnoli)

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio,  attribuisce al patrimonio minerario italiano la valenza di “bene culturale di interesse storico ed etnoantropologico”, quale perfetto connubio fra scienza e natura, fra uomo e ambiente. Non solo quindi ascrivibili alla dimensione tecnologica, ma anche  altri profili interpretativi, quali quelli antropologico, sociologico e naturalistico, senza l’apprezzamento dei quali una piena comprensione dell’universo minerario è preclusa.

Oggi il paesaggio minerario è diventato sinonimo di “paesaggio culturale”, inteso come forma in costante evoluzione, determinata dalla continua interazione tra ambiente, tecnica e storia. Intreccio complesso di azioni umane passate (che ne hanno prodotto la morfologia attuale) e delle forze in atto (che ne determinano gli sviluppi futuri).

Il grande patrimonio minerario dismesso, per alcuni decenni, è però rimasto abbandonato a se stesso, senza intravedere alcuna possibilità sul suo futuro. Molte realtà sono state soggette a bonifiche per rispondere ad emergenze ambientali, ma complessivamente, non vi è stata una strategia nazionale capace di affrontare la gestione delle realtà minerarie dismesse, un piano nazionale capace di progettare o pianificare potenziali azioni da intraprendere nei siti minerari non più produttivi. Un’occasione storica persa, per dare spazio a idee e soluzioni e per intraprendere percorsi originali di valorizzazione ambientale ed economica dei territori.

(teleferica a Scarlino)

Le miniere si collocano così alla frontiera di una nuova museografia, che sollecita la crescita di un pubblico diverso, in cerca di esperienza e non di osservazione passiva. Un pubblico che,  con l’ausilio di efficaci strumenti di interpretazione, anela a misurare non solo la distanza che lo separa da un tempo trascorso (quello delle miniere), ma anche quanto di quel passato continui ad agire da forza attiva nel suo presente.

Uomini e miniere

Per lungo tempo, nella coltivazione delle miniere, l’uomo poté fare affidamento solo sulla sua forza e sul suo coraggio. Moltitudini faticarono nelle viscere della terra, vi soffrirono e vi morirono per strappare all’oscurità i suoi tesori profondi. Crolli, inondazioni dei sotterranei o violente esplosione erano una continua minaccia. Questi drammatici eventi, che causarono innumerevoli infortuni mortali, devono essere ricordati in ossequio a quei minatori che nulla poterono contro le forze della natura.

In epoca preistorica probabilmente i minatori erano uomini liberi. E’ con l’arrivo dei grandi imperi, dall’egizio all’assiro, al persiano e soprattutto al romano, che sugli schiavi, prigionieri di guerra o sovversivi, gravò il peso di ogni fatica. Specie in un’industria pesante come quella mineraria, che richiede notevole impiego di energia meccanica. Nell’antica Roma gli uomini che avevano abbracciato la fede cristiana furono trascinati come schiavi nelle miniere metallifere, “damnati ad metalla”, o in quelle di sale e di zolfo, “damnati in calciarium et in sulphurarium”.

(schiavi romani)

Il lavoro in miniera era particolarmente duro, come saltuariamente descrivono alcuni autori latini:

“Essi procurano grandi proventi ai padroni, ma muoiono in gran numero consunti dalle fatiche, senza riposo e frustati dai sorveglianti. Essi scavano monti procedendo a lume di lucerna per molti mesi senza vedere il giorno. Le gallerie spesso rovinano, li seppelliscono improvvisamente. Essi spezzano i grandi massi col fuoco e con l’aceto, e quelli che il vapore o il fumo non affoga, portano fuori, sulle spalle, pietroni staccati e infranti. E così, al buio, l’uno di mano in mano ne carica l’altro, e gli ultimi soltanto vedono la luce”.

Nel Medioevo Romanzo si ritorna a concepire la libertà mineraria. Non più il lavoro di schiavi ma di minatori liberi e provetti che piano piano ricostruirono, dopo secoli di abbandono, le vecchie tradizioni minerarie.

Opere da giganti si susseguirono nel corso dei secoli: minatori armati di solo piccone e del fuoco, di mazze e scalpello, avevano eseguito nel passato giganteschi scavi per estrarre minerali o monoliti dalle profondità della Terra.

Disegni e stampe d’epoca ci hanno trasmesso le immagini di donne piegate sotto il carico di pesanti ceste che si arrampicavano su larghe e ripide scale a pioli e le immagini di fanciulli che camminavano carponi in stretti e bui cunicoli, spingendo carrelli di carbone. Per sollevare il carbone dal fondo dei pozzi si usavano capaci ceste tirate su da argani a cavalli. Delle stesse ceste si servivano i minatori per salire o scendere; ma più spesso essi facevano il viaggio con una gamba infilata in un cappio della corda del montacarichi, a grappoli: i ragazzi sedevano sulle ginocchia degli uomini, o semplicemente si afferravano alla corda con mani e piedi.

Le tecniche usate nell’industria mineraria sono a nostra conoscenza attraverso le suggestive illustrazioni di Agricola che, nel 1556, espone nei dodici volumi “de Re Metallica” tutte le conoscenze di arte mineraria e di preparazione dei minerali, per secoli l’unica guida tecnica. Questo libro, con le sue illustrazioni, mostra i metodi di estrazione del minerale, molto lontani dai metodi più recenti, ma anche molto lontani da quelli praticati dagli Etruschi e dai Romani. Le illustrazioni mostrano anche i sistemi di meccanizzazione delle miniere dell’epoca, conseguenti al grande sviluppo energetico avvenuto nel medioevo grazie all’introduzione dei mulini ad acqua.

Ingegnosi sistemi trasformano il moto rotativo della ruota idraulica in alternativo, per l’azionamento di pompe a pistoni, per l’eduzione dell’acqua da pozzi profondi. Nella ventilazione dei sotterranei si notano soffianti a mantici azionati da ruote idrauliche. Grazie al diffuso impiego di ingranaggi, l’energie idraulica trovò sempre più larga diffusione nei cicli produttivi delle varie industrie. Ove questa non era disponibile, si faceva ricorso a grandi ruote a calpestio, utilizzando l’energia umana.

Nelle miniere sotterranee l’atmosfera è irrespirabile. Differisce da quella esterna per la maggiore temperatura ed umidità. La percentuale di ossigeno risulta ridotta se non viene attivata un’adeguata corrente di ventilazione. Non di rado si riscontra la presenza di gas tossici e nocivi come il “grisù”, una miscela di aria e metano altamente infiammabile. Nell’ antichità questi gas venivano descritti come opera del male:

“Cosa da non mettere in dubbio è la notizia del demonio a forma di cavallo il quale nella miniera di Anebergo uccise con il suo alito mortale 12 minatori; e quella di un demonio che nella miniera di Snebergo fracassò al suolo un lavorante dopo averlo alzato fino al punto più alto di quella gran concavità”.

Le esplosioni di grisù che si verificano sovente nelle miniere, indussero i minatori, probabilmente fin dal medioevo, ad invocare Santa Barbara come loro protettrice. Negli anni della rivoluzione industriale, per fronteggiare il grisù, sempre in agguato nei pozzi, si ricorreva al “penitent”: un uomo avvolto in sacchi bagnati, con una candela accesa issata su una lunga pertica, correndo gravissimi rischi, faceva esplodere il pericolosissimo gas.

La ristrettezza delle lunghe gallerie e dei cantieri presentava un notevole pericolo nel caso di irruzione di acqua, specialmente nelle gallerie a fondo cieco, che potevano incontrare fratture acquifere o antichi lavori allagati non segnalati nei piani di miniera. Per fare un po’ di luce si usava l’acciarino, una sorta di rudimentale strumento che, azionato da un fanciullo accanto al minatore, sprigionava scintille.

(foto dal libro di Cipriani Massimo)

L’invenzione della macchina a vapore segnò la ripresa mineraria ai fini del 1700. Data la sua versatilità, la macchina si rendeva particolarmente adatta per l’estrazione del minerale attraverso pozzi verticali, per l’eduzione delle acque di miniera ed anche per la ventilazione dei sotterranei. Non più pozzi di poche decine di metri, ma molto più profondi e serviti da macchine di estrazione, in grado di sollevare quantità di minerale enormemente maggiori, ma a costi enormemente inferiori.

Il trasporto del minerale dai cantieri di coltivazione alla base dei pozzi per migliaia di anni era stato effettuato prima con cesti, poi con carriole, attraverso sotterranei tortuosi ed impervi, richiedendo notevole sforzo fisico da parte dei minatori per il trasporto di modesti carichi di minerale.

La grande rivoluzione nel settore dei trasporti sotterranei fu promossa dalla ferrovia, con carrelli in ferro ribaltabili, spinti a mano dai minatori con relativa facilità, oppure riuniti in treni composti di numerosi vagoni a trazione animale. La quantità di minerale trasportato e la distanza di trasporto furono fortemente aumentate ed il costo della tonnellata a km notevolmente ridotto.

(da memorie in miniera)

La ripresa mineraria nella seconda metà del XIX secolo fu promossa da macchine a vapore, aria compressa, ferrovia, uso sistematico degli esplosivi.  I giacimenti minerali noti da secoli furono ampliati in estensione e in profondità, anche se a tenori inferiori a quelli coltivati dagli antichi minatori. Furono coltivati anche giacimenti che gli antichi non poterono coltivare, vuoi per la presenza dell’acqua, vuoi per l’estrema durezza delle rocce. Tali coltivazioni si resero possibili perché i costi di estrazione subirono riduzioni tali da poter considerare “minerale” ciò che dagli antichi fu considerato “sterile”.

Tra le innovazioni del dopo guerra ricordiamo invece l’introduzione delle perforatrici ad aria compressa, l’accensione elettrica delle mine, le pale caricatrici, i locomotori elettrici, l’armamento delle gallerie, l’arricchimento dei minerali.

(da memorie in miniera)

Nel grande fervore minerario degli ultimi secoli, l’infortunistica raggiunse tassi elevati dovuti non solo al notevole livello produttivo raggiunto, ma anche all’avvento della meccanizzazione e della elettrificazione delle miniere che, se da un lato permisero di alleviare la fatica dei minatori, dall’altro creò pericoli prima inesistenti. Se precedentemente gli infortuni minerali erano dovuti principalmente a crollo e distacchi di roccia, ora a questi si aggiunsero quelli dovuti al largo impiego degli esplosivi, alle macchine in movimento nei posti di lavoro e all’energia elettrica, nuova forma di energia, i cui effetti sul corpo umano nell’ambiente di miniere non erano ancora del tutto conosciuti e le relative protezioni non ancora perfezionate.

Matri chi mannati li figghi
a la surfara iu vi dumannu
pirchì a li vostri figghi
ci faciti l’occhi si nun ponnu vidiri lu jornu?
(A li matri di li carusi, Ignazio Buttitta)

(da memorie in miniera)

Indietro nel tempo

Età della pietra

La caccia nel paleolitico avveniva facendo rotolare grandi pietre dall’alto di un pendio, con lo scopo di uccidere o ferire grossi animali selvatici. Questa tecnica già imponeva l’apertura di cave per la fornitura di macigni. Le pietre, rotolando, si frantumavano riducendosi in schegge aguzze. Si cercò di ripetere l’operazione con la spaccatura, per ottenere schegge di dimensioni adatte a essere impugnate: l’uomo inventò le lame di selce. In Italia, il più attivo centro industriale era in un gruppo di villaggi in provincia di Teramo, alla foce del fiume Vibrata. Qui giungevano le prime zattere, cariche di selci, ossidiane, diaspri, pietre verdi. Venivano dalla Calabria, dalle Isole Eolie, dalla Sardegna. Queste materie prime erano cedute in cambio di prodotti lavorati: accette, raschietti, e oggetti di ornamento confezionati con conchiglie e denti di animali.

(diffusione dell’ossidiana nel Mediterraneo)

Per lo sviluppo di questa civiltà preistorica c’era però bisogno di pietre dure: stava nascendo la ricerca mineraria. Il preistorico era un minatore libero e con la sua intuizione risaliva i corsi d’acqua, scrutando i greti, dove si mescolavano residui di roccia trasportati a valle dall’impeto delle acque. Lo scopo di quella ricerca era di individuare la provenienza delle pietre che potevano andar bene alle sue necessità.

La prima sostanza minerale ovunque adoperata fu la selce. L’uomo la strappò dalla matrice che l’avvolgeva: nasceva così l’industria mineraria. In Italia ci sono miniere preistoriche sparse negli appennini, in Sardegna e alle isole Eolie. La coltivazione della selce avveniva a prezzo di sforzi inauditi, con frequenti sacrifici di vite umane, come testimoniano scheletri di minatori rinvenuti sotto gallerie crollate. In queste miniere, la disgregazione della roccia procedeva con il fuoco, seguita da forti getti d’acqua.

In seguito, alla selce si aggiunsero diaspro, ossidiana, lapislazzuli e altre pietre speciali. Gli uomini cominciarono a distinguere alcune pietre brillanti o vivacemente colorate, alle quali attribuivano poteri magici. In tal modo, verso la fine della preistoria, queste pietre speciali divennero la prima moneta di scambio fra le popolazioni nomadi e le stabili comunità agricole. Queste pietre erano tagliati o incisi a forma di sfere perforate, sigilli, amuleti, tazze, fiori e figurine zoomorfe. Anche l’ambra ebbe grande importanza, nel paleolitico come gemma magica e nel neolitico come gemma ornamentale. Il diamante invece, conosciuto in India fin dal secondo millennio, sarà usato come gemma solo quando, dopo il periodo romano, si riuscì a lavorarlo, tecnica alquanto difficile per la sua straordinaria durezza.

Le argille furono attivamente ricercate e utilizzate in epoca remota per la loro plasticità, per la proprietà di assorbire i grassi e per la capacità impermeabilizzante. La prima utilizzazione dell’argilla fu appunto per impermeabilizzare i cesti di vimini per il trasporto dell’acqua, in sostituzione delle borse di pelle. Iniziava anche l’epoca dei laterizi, ampiamente utilizzati nelle costruzioni civili, specialmente all’epoca romana. Roma fu anche chiamata “Città Lateritia”. Nell’industria, l’argilla fu impiegata solo nell’età del bronzo e del ferro, quale rivestimento refrattario dei primi forni metallurgici.

Età dei metalli

La scoperta dei metalli consentì agli uomini di produrre utensile e armi meno rozze e di tipi più svariati. Questo avvenimento è tanto importante da indicare l’inizio di una nuova età nella storia dell’uomo, l’età dei metalli, suddiviso in età del rame, del bronzo e del ferro.

Circa tre millenni a.C. iniziava la tecnica della fonderia.  L’uomo infatti si accorse che dalle rocce poste attorno a un focolare era colato qualcosa che, raffreddandosi, solidificava di nuovo. Pensò allora che sarebbe stato possibile dare a quella sostanza ancora fusa una forma che, raffreddandosi nuovamente, si sarebbe conservata per sempre.

L’uomo iniziò ricercando ed estraendo l’oro, l’argento e talvolta il rame, metalli che si trovavano puri, perché meno aggrediti dagli agenti chimici. Tutti gli altri comunemente si trovano in combinazione con altri elementi, formando cioè i loro minerali.

Quando i metalli nativi diventarono insufficienti per le necessità quotidiane, l’uomo cominciò a cercare e a trattare anche i loro minerali. Apparvero così le prime armi in bronzo e contemporaneamente si sfruttarono le prime miniere di galena argentifera per l’estrazione dell’argento e, in subordine, del piombo. Nacque così una nuova tecnica: la metallurgia.

Etruschi

Gli Etruschi scelsero la Toscana attratti dai suoi giacimenti minerari. Giacimenti che avrebbero rappresentato la loro maggiore ricchezza. Furono concorrenti dei Fenici e li sostituirono nel commercio marittimo in Toscana, in Sardegna e altrove per argento, ferro, rame, piombo e stagno.

A differenza dei Fenici, gli Etruschi furono provetti minatori e metallurgi: con la metallurgia e l’esportazione verso altri paesi del Mediterraneo, guadagnarono sull’enorme valore aggiunto dei prodotti finiti, divenendo famosi per la loro straordinaria ricchezza.

Oltre ai giacimenti affioranti, gli Etruschi estesero le coltivazioni anche in profondità. L’attacco dei giacimenti era effettuato con cunicoli che partivano dagli affioramenti. Essi presentano andamento sinuoso conformemente alla giacitura delle vene più ricche in minerale, raggiungendo anche notevole profondità.  Nelle parti friabili del giacimento si usavano picconi e punteruoli per l’abbattimento della roccia, mentre nelle parti più compatte si ricorreva all’allentamento della roccia con il fuoco e conseguente suo sgretolamento con getti di acqua fredda. Non risultano particolari accorgimenti per la ventilazione dei sotterranei, che avveniva per diffusione. Non esistevano processi di arricchimento del minerale, se non la cernita manuale.

All’aumentare della profondità, le coltivazioni sotterranee  sono ostacolate dal lavoro necessario all’estrazione del minerale e dalla presenza dell’acqua. Pietre e acqua venivano portati a giorno mediante squadra di operai disposti a catena, che si passavano di mano in mano corbelli o cesti, con il ritorno dei vuoti in discesa.

Gli Etruschi valorizzarono i giacimenti minerari di tutta la Toscana, entrando in competizione con i Fenici. La scoperta di minerali di stagno presso l’attuale Campiglia Marittima fece crollare, almeno in questo settore, nel bacino del Mediterraneo, la potenza economica dei Fenici che invece si approvvigionavano di stagno dalla lontana Cornovaglia.

Gli Etruschi furono esperti metallurgici dell’argento, ricavato dai giacimenti di Montieri e di Massa. L’argento era utilizzato per coniare monete e trarne oggetti preziosi, mentre il piombo era usato come sottoprodotto nella fabbricazione di tubazioni, ancore e lastre per la carenatura delle navi.

Le miniere di ferro furono intensamente coltivate dagli Etruschi: le coltivazioni iniziarono nel campigliese, e solo successivamente nell’isola d’Elba. Il nome Elba deriva da Ilva, che ricorda il possesso delle miniere da parte degli ilvates, una etnia ligure, i quali probabilmente iniziarono a coltivare giacimenti superficiali di minerali di rame di cui oggi non appare traccia nell’isola. I greci, poi, chiamarono l’Elba con l’appellativo di Aethalia, la fuligginosa, a causa dei fumi dei forni fusori accesi di notte, onde pareva che la costa orientale dell’isola fosse tutta un incendio.

L’uomo conosceva certamente il ferro, ma non ebbe modo di poterlo utilizzare per tanto tempo. Mentre infatti per la riduzione dei minerali di rame e di stagno, avvenuta nell’età del bronzo, sono sufficienti temperatura al massimo di 1.000 gradi, per la riduzione degli ossidi di ferro occorre almeno una temperatura di 1.500 gradi. Per ottenere questa temperatura, sono necessari forni molto più efficienti e questa grande innovazione tecnologica chiese moltissimo tempo e innumerevoli tentativi. Nacque l’età del ferro e con essa la siderurgia.

La scoperta del ferro costituiva un’arma nuova per l’arte bellica. I primi popoli che con il ferro forgiarono armi, vinsero molte battaglie, perché nessuno poteva resistere ai loro assalti: le lance del duro metallo non si spuntavano contro gli scudi e le corazze del nemico, ma foravano il tenero bronzo.

Populonia e il golfo di Baratti divennero un punto di riferimento per tutto il Mediterraneo. La lavorazione del ferro, richiedeva infatti un’organizzazione accentrata.  A differenza di quella di altri metalli, non poteva essere effettuata da società o da lavoratori indipendenti.

La massima potenza degli Etruschi fiorì dal VI al IV secolo A.C., concomitante alla lavorazione minerometallurgica, tanto che nel V secolo l’Etruria cominciò a coniare monete, prima usando semplici pezzetti di bronzo e di rame, poi monete vere e proprie. La moneta di Populonia, per esempio, aveva il martello e le tenaglie nel rovescio e la testa di Vulcano nel diritto, ad indicare il carattere minero metallurgico della città. Seguirono poi monete in argento e in oro.

La siderurgia era però ancora rudimentale, tanto che alcuni giacimenti sfruttati dagli Etruschi, furono ripresi e coltivati fino ai nostri giorni. I cumuli di scorie etrusche di Baratti, riutilizzate oltre duemila anni dopo, avevano tenori di ferro molto elevati.

I decadenza mineraria

Dopo secoli di attività,  gli sforzi estrattivi accrebbero a dismisura.  Le miniere erano scese oltre i 100 metri. L’eduzione delle acque divenne infine un ostacolo insormontabile. La crisi mineraria provocò lo spopolamento delle città marittime. La malaria tornò a infestare in quelle regioni già fiorenti durante il benessere minerario, quando gli Etruschi avevano bonificato le maremme con varie canalizzazioni, rendendo possibile la costruzione di numerose città. La potenza degli Etruschi, imperniata sull’estrazione, sulla lavorazione dei metalli e la loro commercializzazione, lentamente sfiorì fin quando furono assoggettati dai Romani.

Romani

In epoca romana il governo repubblicano non aveva interesse a sviluppare l’attività mineraria in Italia, bensì nelle varie province che, man mano, passavano sotto il suo dominio. Potendo disporre delle grandi risorse minerarie delle province occupate e sottomesse, non era conveniente ricercare e coltivare miniere in Italia, dove si sarebbero sottratte braccia all’agricoltura, che costituiva il fondamento economico e morale della società romana.

In particolare fiorì l’industria dei marmi provenienti dalle cave dell’Attica.  L’ultimo secolo della Repubblica e i primi due dell’Impero segnarono il periodo di maggiore prosperità di questo materiale,  associato alla costruzione di templi, terme, colonnati, archi, acquedotti. Non solo nell’Urbe, trasformatasi da laterizia in marmorea, ma nelle varie città dell’impero. Nelle cave, l’abbattimento era praticato mediante cunei posti a breve distanza tra loro. Centinaia di scalpellini provvedevano poi a riquadrare i marmi. Il trasporto dei giganteschi blocchi dalle cave al poggio di caricamento veniva effettuato con il metodo dell’abbrivio, cioè provocandone il rotolamento o lo scivolamento in ripide discariche di scaglie di marmo. Il trasporto dei blocchi al porto era effettuato a mezzo di buoi con carri romani, mentre il trasporto alla capitale veniva effettuato con facilità via mare, mediante navi che risalivano poi il corso del Tevere.

II decadenza mineraria

L’industria mineraria declinò nel terzo secolo D.C., raggiungendo un decisivo regresso alla fine del quarto. Il declino minerario anticipa quello dell’impero. Ogni industria, infatti, in particolare quella mineraria, richiede sicurezza politica. Il suo sviluppo dipende dall’intensità dei traffici e dall’efficienza dell’industria trasformatrice a valle. In tutti i tempi l’industria mineraria è sempre stata la prima a cedere e l’ultima a riprendersi.

La caduta dell’Impero ridusse fortemente le richieste dell’antica capitale, che era stata il più grande mercato di metalli, marmi e pietre preziose. Anche l’edilizia si era arrestata, anzi, la distruzione di città da parte dei barbari impediva il mantenimento in essere delle cave di qualsiasi genere. I rapporti domanda offerta di materie prime minerarie calava continuamente, per cui le miniere furono abbandonate, come pure le industrie trasformatrici a valle. L’Italia si trasformò in un coacervo di piccoli potentati locali senza più una capitale. In questo contesto politico, la storia mineraria presenta pagine bianche.

Ripresa mineraria anno mille

Scomparsi i barbari, l’arte mineraria e la metallurgia ripresero in Italia grazie all’intervento di esperti chiamati dalla Sassonia e dalla Boemia, che portarono con sé anche le maestranze. In particolare, nel distretto minerario di Massa Metallorum qualcuno per caso ritrovò nella zona le miniere di argento, dimenticate per oltre 10 secoli, da quando i romani cancellarono ogni reminescenza della tradizione mineraria etrusca. Le miniere ripresero splendidamente e Massa divenne il centro di quella regione mineraria, come Populonia era stata per l’etruria.

La scoperta dell’argento nell’alta Maremma fece esplodere una vera e propria febbre, per destinare il metallo alla monetizzazione, in una fase dell’economia internazionale in cui la prorompente ripresa dei traffici commerciali esaltava la circolazione e la domanda di valuta. Era il periodo delle Crociate e del parallelo risveglio dei flussi commerciali con il sud e l’oriente. Repubbliche marinare e comuni italiani diedero nuovo impulso alle miniere.

Il commercio e l’industria ebbero uno sviluppo vertiginoso, un’autentica esplosione che portò alla formazione di banche e di compagnie commerciali, allo scambio di merci e di notizie, alla creazione di vie commerciali. Sorgeva un’economia monetaria, si incrementava il benessere, si accresceva la grandezza e la ricchezza delle Città contro le vecchie leggi feudali.

Per le esigenze di guerre continue, l’Europa visse quella che è stata definita una vera e propria seconda età del ferro. Dal tempo di Carlo Magno, infatti, gli eserciti, con le loro spade, lance, elmi, corazze e bardature dei cavalli, si basavano integralmente sull’impiego del metallo di Marte.

L’invasione della Spagna da parte degli arabi introdusse in Europa l’uso dei mulini idraulici ed eolici. I primi, in particolare, si diffusero dall’ XI al XIII secolo, periodo questo che può considerarsi della rivoluzione energetica medievale.

III decadenza mineraria

La grande avventura mineraria avvenuta alla fine del medioevo si concludeva per cause diverse e concomitanti. Le vene metallifere più ricche si esaurirono. Gli ostacoli nell’approfondimento delle coltivazioni, parzialmente superati dalle innovazioni tecnologiche, tornarono insormontabili. L’esercizio delle miniere diventava quindi tanto oneroso che svaniva la convenienza economica, a cui seguiva l’abbandono dei lavori. La conquista del nuovo continente da parte degli spagnoli creò una psicosi ottimistica per le ritenute favolose ricchezze di oro, argento e pietre preziose del nuovo mondo. Le miniere sarde furono tra le prime ad entrare in crisi.

Altre cause possono aver giocato un ruolo altrettanto importante: le grandi pestilenze spopolarono l’Europa e contribuirono ad aggravare la crisi mineraria. In Toscana alla lunga e tragica sequela di pestilenze, si aggiungeva la malaria delle Maremme di nuovo impaludate.

La manodopera disertava, determinando il rapido spopolamento delle città, vissute prima in una situazione di grande floridezza economica. Con lo spopolamento delle zone minerarie, si creò uno stato di desolazione e di abbandono, durato oltre il XVIII secolo. La tradizione mineraria si spense rapidamente e Massa Metallorum divenne Massa di Maremma: con i suoi superbi monumenti divenne un povero paese come tanti altri sparsi nelle cosiddette colline metallifere. Le miniere di argento di Montieri furono abbandonate e mai più riprese, quelle di rame di Massa, di Campiglia e di varie zone del senese finirono anch’esse nell’oblio.

Scienze della Terra

Gli antichi lavori minerari procedevano senza alcun indirizzo scientifico che non permise mai, nel passato, di individuare e circoscrivere esattamente i giacimenti conosciuti. Gli antichi minatori erano costretti a seguire le vene mineralizzate come un filo conduttore, coltivando via via le parti più ricche e lasciando a noi posteri le parti più povere o quelle che essi non erano riusciti a identificare o coltivare.

Fino al XV secolo, per la ricerca delle acque sotterranee e di depositi metalliferi ci si basava sull’opera dei rabdomanti, i quali, se non mistificatori, altro non erano che soggetti dotati di facoltà psichiche di percezione sottratte ai sensi normali.

Il Rinascimento era ancora influenzato dalla stravaganza degli alchimisti. In certi ambienti si continuava a sostenere le credenze degli antichi, secondo le quali i sette metalli conosciuti erano generati sulla Terra per effetto delle emanazioni provenienti dai sette corpi celesti. Si può facilmente immaginare quanto lontano fosse la giacimentologia da concezione rigorosamente scientifiche.

Le Scienze della Terra nascevano solo verso la fine del XVIII secolo, dopo il risveglio scientifico preludente la rivoluzione industriale. Mineralogia, paleontologia, geologia e giacimentologia furono le scienze che permisero il rilancio della ricerca e delle coltivazioni minerarie. Grazie a loro prese vita lo studio razionale dei giacimenti minerari e delle rocce incassanti, dando alla ricerca mineraria nuovo impulso.

La cognizione del tempo geologico sfuggiva alla mente dei primi geologi. L’evoluzione della specie, le formazioni geologiche, il trasporto dei depositi morenici, le dislocazioni tettoniche, la formazione dei giacimenti minerali, avvengono in tempi estremamente lunghi. Azioni blande, protratte per tempi estremamente lunghi, producono effetti tali che la mente dei primi geologi non poteva concepire: per spiegarli doveva ricorrere a fantasticherie di cui la preistoria geologica è piena.

Lo sviluppo industriale si evolse alla fine del XVIII secolo grazie alla rivoluzione industriale, che permise all’Europa di sviluppare ogni tipo di industria: nacque l’industria pesante, cosicchè si svilupparono enormemente la siderurgia e la metallurgia, per cui i giacimenti di ferro e di altri metalli e soprattutto i giacimenti di carbon fossile attrassero interesse degli industriali e degli Stati. Ma l’industrialismo minerario, per sua stessa natura, si affermò solo verso la metà del XIX secolo, quando si ebbe una vertiginosa ripresa mineraria in Europa e in altre parti del mondo.

Rinacque allora l’interesse per le miniere, con l’introduzione delle innovazioni tecniche del tempo che permisero di raggiungere livelli più profondi di quelli già coltivati dagli antichi minatori, nonché di introdurre le prime mine nell’abbattimento della roccia, usate per la prima volta nelle miniere della Transilvania verso il principio del XVIII secolo. In Italia, la ripresa degli antichi distretti minerari fu ritardata a causa della secolare inattività, ad eccezione delle miniere di ferro dell’Elba e delle Alpi.

Dalla legna al petrolio

Il progresso umano è stato lentissimo nel corso dei millenni per la mancanza di energia, anzi, senza che l’uomo sapesse che cosa fosse l’energia o senza sapere utilizzarla come lavoro meccanico. Per millenni l’uomo ha ricavato l’energia meccanica necessaria la sua industria nel modo più facile e conveniente, cioè per mezzo degli animali e degli uomini, liberi o schiavi che fossero.

Un modesto progresso energetico si ebbe solo nel Medioevo, forse per merito degli arabi, quando si cominciò a sfruttare l’energia idraulica ed eolica per azionare mulini o altre rudimentali macchine.

Una tappa importantissima fu l’introduzione della macchina a vapore, applicata alla fine del XVIII secolo. Come la ruota idraulica promosse la rivoluzione energetica medievale, così la macchina a vapore promosse la rivoluzione industriale. Fino ad allora, il calore prodotto dalla combustione fu usato solo per riscaldamento, gli uomini non sapevano ancora che quella energia termica avrebbe potuto essere trasformata, almeno in parte, in lavoro meccanico.

Nel XIX secolo l’uomo comincia a porsi il problema energetico, la cui unica fonte era stata, nel passato, la legna o il carbone di legna. La raccolta del legname per ardere e per le costruzioni, portò alla distruzione di intere foreste. La produzione siderurgica richiedeva infatti grandi quantità di combustibile, che per molto tempo fu il carbone di legna, prodotto col procedimento antichissimo delle carbonaie. Ma non esistevano alternative: il carbon fossile era guardato con sospetto dai fonditori, per le sue impurezze (lo zolfo soprattutto).

L’alleanza tra carbon fossile e industria siderurgica avverrà in Inghilterra, quando  verranno messi a punto i primi processi di raffinazione del carbone. Il carbon fossile si trovava in giacimenti minerari dislocati in tutto il mondo, ma le fortunate nazioni che posseggono il maggiore giacimenti erano situate tutte, all’epoca della formazione del carbone, nelle zone equatoriali: Russia, Usa, Inghilterra, Germania, Polonia, Francia settentrionale, Giappone, Belgio, Sudafrica, Australia ed il loro insieme forma un allineamento lungo una fascia regolare che avvolge tutta la Terra. L’Italia non si trovava nel periodo carbonifero su quell’allineamento, perciò i suoi giacimenti carboniferi sono tutti di basso rango.

L’Inghilterra era destinata a divenire una terra privilegiata per lo sviluppo industriale, trainato dall’impiego della macchina a vapore. Il carbon fossile abbondava ed era diffusamente impiegato fin dalla fine del XVIII secolo.  A differenza dei mulini idraulici, una macchina a vapore può essere installata ovunque sia possibile procurarsi carbon fossile a prezzo ragionevole. Fino al 1920, il carbon fossile rimase la fonte energetica principale per tutti i paesi industrializzati.

I minatori inglesi vanno collocati in testa per i sacrifici sofferti nelle miniere di carbone (rischio mortale, sfruttamento brutale, disagi e sofferenze fisiche) ai quali, per primi era toccato il calvario destinato anche ai minatori dei bacini carboniferi tedeschi, francesi e belgi.

Ma bisogna giungere al secondo al secolo XIX per trovare uno sfruttamento industriale del petrolio, quando in America qualcuno si accorse che, una volta purificato, il petrolio bruciava nelle lampade in luce molto chiara e luminosa. La prospettiva di ingenti guadagni spinse i pionieri americani ad accaparrarsi le terre dove si trovavano i giacimenti, cercando di raccogliere il petrolio schiumandolo dalla superficie delle acque su cui galleggiava. Poi, nel 1859, fu trovato un sistema più pratico e redditizio, quello che, perfezionato e potenziato, è usato ancora oggi: la trivellazione.

La benzina divenne improvvisamente importantissima con l’invenzione del motore a scoppio. Fino all’inizio del XX secolo, la maggior parte del petrolio veniva adoperato per la produzione del cherosene per illuminazione. La benzina era  usata soltanto come smacchiatore.

Altri numerosi prodotti venivano ricavati dalla sempre più preziosa materia prima. Si ricavarono olio lampante, olio combustibile e coche di petrolio. Nasceva pertanto la distillazione del petrolio a temperature sempre crescenti. L’olio combustibile fu subito impiegato, al pari del carbone, per alimentare le caldaie, mentre il gasolio acquistò estrema importanza con l’invenzione del motore Diesel nel 1892.

Diritto minerario

L’attività mineraria nacque non appena l’uomo acquistò coscienza che i minerali non sono tutti identici, ma dotati di proprietà e caratteristiche diverse, adatti ad usi diversi. Si venne anche a conoscenza che una determinata pietra o un minerale non si trova mai per caso o dovunque, ma è localizzata entro certe aree: da ciò la prima nozione del giacimento minerario e la tendenza a circoscriverne i limiti.

Base primordiale del diritto minerario è la scoperta del giacimento: il minerale appartiene a chi lo ha ricercato, lo ha scoperto e lo coltiva. Ma tale concezione, durante i millenni di attività mineraria, urtava contro gli interessi della proprietà fondiaria e generava continui conflitti con i minatori. Industria e agricoltura furono le prime attività necessarie allo sviluppo dell’umanità, ma furono spesso in contrasto tra loro. Il diritto minerario sorse quindi per dirimere il contenzioso fra proprietà minerarie e proprietà fondiaria, quando comparvero le prime popolazioni agricole.

Il diritto romano considerava il prodotto della miniera come un frutto del fondo. Diffusa era infatti la convinzione che i minerali potessero riprodursi naturalmente dopo un certo periodo di abbandono, da cui forse il termine “coltivazione delle miniere”. Ma dopo Costantino, allo scopo di ottenere marmi e metalli a prezzi accessibili per ingrandire il fasto delle città romane, l’ordinamento giuridico fondiario si affievolisce. Divenne il sovrano l’organo che concedeva la facoltà di aprire miniere o cave, anche in terreni privati.

All’epoca delle crociate, la “Lex mineraria” rivoluzionò il mercato consentendo coltivazioni minerali anche nel terreno altrui, perché la miniera è una cosa viva ed è di chi la mantiene in vita col proprio lavoro. Se l’attività finisce, la miniera torna ad essere soltanto sottosuolo, materia inerte fagocitata di nuovo dal potere del superficiario.

L’industria mineraria italiana

dall’unità di Italia alla prima guerra mondiale

Al momento dell’Unità, l’attività mineraria era assai modesta. Il nuovo stato unitario considerò, fin dal 1870, la necessità di creare un’industria siderurgica moderna, già fiorente nel periodo Etrusco e Romano e soprattutto nel Medioevo.

L’ascesa della siderurgia moderna vide Piombino in prima linea, dove proseguiva la tradizione di Populonia. Il minerale di ferro proveniva ancora dall’isola d’Elba e dalla Maremma Toscana, dalla Val d’Aosta e dalla Sardegna. La produzione mineraria, prima totalmente esportata, venne utilizzata negli alti forni esistenti nel Regno. Nel corso della grande guerra ebbe inizio anche l’utilizzazione delle sabbie ferriere lungo tutta la costa della penisola, ove sfociano i fiumi provenienti da zone vulcaniche.

Diversi incidenti funestarono la storia delle miniere italiane. Il vertiginoso ritmo produttivo, non compensato da adeguati mezzi tecnici, causò gravi disastri minerali per il crollo di interi sotterranei. Nel 1881 accadde nelle miniere di ferro manganese del Monte Argentario.  In provincia di Agrigento nel 1886 si verificò il crollo della miniera Mintinia Verdilio che provocò 68 morti e, nel 1887, si registrò un altro crollo nella miniera Fratepaolo con 30 morti. Forti sacrifici gravarono sui carusi e sui minatori siciliani, in un ambiente di lavoro completamente ostile per il gran caldo e l’insopportabile odore.

Nel 1902 entrarono in funzione gli altiforni di Portoferraio all’Isola d’Elba che, insieme a quelli di Piombino, di Follonica e di San Giovanni Valdarno, sostituiranno nel corso del XX secolo le vecchie ferriere nel trattamento dei minerali di ferro.

Una crisi mondiale di inaudita violenza imperversò dal 1929 al 1932 travolgendo le economie di ogni paese. Il marasma economico prodotto dalle devastazioni della guerra, mai sanate nel decennio successivo, esplose sotto forma di fulmineo crollo dei prezzi. Molte industrie dovettero sospendere la produzione rovesciando sul lastrico milioni di disoccupati. Poiché la produzione mineraria dipende dalla produzione industriale, la crisi imperversò su tutte le miniere e fece sentire i suoi effetti dirompenti anche sull’industria italiana.
Numerose miniere, specialmente le più povere, vennero abbandonate. In esse vennero trascurate persino le manutenzioni, col rischio di comprometterne l’eventuale futura ripresa.

Dal 1935, con l’inizio della guerra d’Africa e delle sanzioni, la politica autarchica diede nuova impulso all’industria minerale italiana. Tutti i settori minerali furono rivalutati per raggiungere l’obiettivo riassunto nello slogan: “bastare a noi stessi!”. Ma assurda era la convinzione che questa strategia dovesse durare in eterno, quando le risorse minerarie italiane, proiettate ai consumi futuri, non potevano certamente soddisfare questa ambiziosa utopia. Tuttavia, in questa euforia autarchica, il settore minerale italiano fu mobilitato ai massimi livelli produttivi.

Un notevole prodotto di questa industria fu l’enorme obelisco eretto al centro del Foro Italico, detto allora foro Mussolini. Tratto dalla cava della Carbonera (Carrara), ove attinsero per primi gli edili romani, la colonna risultò di 550 tonnellate in un blocco solo, lunga 17 metri. Per portarla dall’altitudine di 800 metri al mare, fu imprigionata in una gabbia, trascinata al piano lungo il ripido pendio a mezzo di funi in acciaio. Per raggiungere il mare, fu impiegata una teoria di 40 paia di buoi aggiocati al traino. Un galleggiante, battezzato “Apuano” e costruito appositamente con 150 tonnellate di ferro, fu destinato a trasportare il monolito sino alla foce del Tevere. Si volle così ripetere il fasto della Roma Imperiale.

Le delusioni belliche determinarono ben presto un regresso generalizzato dell’attività mineraria, fino al suo crollo avvenuto nel 1944 con l’abbandono pressocchè totale dell’attività produttiva.

Il ripristino delle vecchie miniere iniziò nel 1945 in condizioni certamente inadeguate alle difficoltà ed ai pericoli dovuti a sacche d’acqua pensili, accumuli di gas e fuochi latenti originati dal lungo periodo di abbandono. L’attività mineraria si sviluppò nuovamente nelle vecchie miniere e con la scoperta e la coltivazione di miniere nuove. Anche il settore dei minerali non metalliferi ebbe incremento produttivo notevole, specialmente nei comparti degli idrocarburi. Nel 1948 si ebbe un notevole sviluppo nei settori della siderurgia e della metallurgia dell’alluminio.

Il 4 maggio 1954 si verificò all’interno della miniera di Ribolla un tremendo scoppio di Grisù che causò la morte di 43 minatori. La violenza dell’esplosione, amplificata dall’angustia delle gallerie e dei cantieri, si propagò fino all’esterno a bocca di pozzo. Il recupero delle salme richiese 38 giorni di pericoloso lavoro. La miniera fu chiusa dopo alcuni anni e mai più riaperta. (ascolta il podcast)

(la tragedia di Ribolla)

Nel 1968 alcuni comparti toccarono i loro massimi assoluti ed altri si assestarono su buoni livelli produttivi. Solo per i minerali di ferro e di zolfo la produzione era già in avanzato declino.

Nel settore minero energetico fin dal 1926 era stata costituita l’AGIP, anche se nei suoi primi venti anni di attività non ebbe quei successi sperati, tanto che nell’immediato dopoguerra si pensò di liquidare l’azienda. Ad opporsi a tale operazione fu Enrico Mattei, allora commissario straordinario dell’Agip, per cui le ricerche continuarono con le vecchie sonde già in uso nell’anteguerra.
I primi successi si ebbero in Val Padana con la scoperta di diversi giacimenti. La produzione di metano, da soli 42 milioni di metri cubi nel 1945 passò a oltre 2 miliardi di metri cubi nel 1953, quando veniva istituito l’Eni che inglobò AGIP, ANIC, ROMSA e SNAM, estendendo la ricerca mineraria in Iraq Egitto, Somalia, Sudan, Libia, Tunisia, Marocco e Nigeria.

L’Italia, dal 1958 in rapida e forte espansione industriale, aumentò progressivamente la produzione di energia elettrica utilizzando sempre più il petrolio a scapito del carbone, in virtù dei costi inferiori. Il carbone italiano non poteva reggere la concorrenza dei carboni esteri e tantomeno quella del petrolio.

Nel 1963 fu istituito l’Enel, quando in Italia oltre un milione di abitanti (uno su quaranta) viveva ancora a lume di candela, nelle case dove l’energia elettrica non era ancora arrivata. Nel quadro della nazionalizzazione elettrica, il sempre maggiore utilizzo del petrolio causò il rapido declino produttivo e occupazionale nel settore del carbone, preludio alla sospensione produttiva decisa nel 1972, proprio alla vigilia della improvvisa crisi energetica. Da quel momento terminava l’attività produttiva e le miniere furono ridotte a sola manutenzione. In Sardegna, la centrale termoelettrica del Sulcis, costruita appositamente presso le miniere per essere alimentata a carbone, funzionò solo ad olio combustibile, più economico.

Tutti i giacimenti metalliferi si trovavano in stato di avanzate esaurimento fisico dovuto al calo dei tenori al di sotto dei limiti di economicità. I costi di estrazione aumentarono, non solo per la maggiore incidenza del costo della manodopera e degli oneri finanziari, ma anche per l’approfondimento delle coltivazioni delle residue, costi non compensati da una adeguata rivalutazione dei prezzi metalli.

La crisi energetica del 1973 trovò impreparata l’industria italiana ed europea.  Prima che la crisi energetica facesse sentire i suoi dannosi effetti sul sistema economico europeo, il nostro paese aveva un certo peso minerario in sede comunitaria. Il periodo depressivo risultò molto più pesante dei precedenti perché aggravato dalla novità ecologica e dall’aumento dei costi di produzione.

I risultati economici delle imprese peggioravano gradualmente a causa di vari fattori negativi concomitanti: il naturale e progressivo impoverimento di molti giacimenti; l’aumento delle profondità delle coltivazioni; l’aumento del costo del lavoro e dei materiali di consumo. Fattori questi non compensati da analogo aumento delle quotazioni dei minerali. Mentre il minero energetico continuò nel suo slancio produttivo sorretto da adeguata attività di ricerca mineraria, altri settori, ad eccezione di alcuni comparti, entrarono in crisi, molti con l’abbandono delle miniere, altri con gestioni minerarie in grave perdita.

Tale situazione provocò la chiusura di numerose miniere e la recessione produttiva di altre. Cominciò l’Italsider con la chiusura delle miniere di ferro manganese dell’Argentario. Dal 1977 al 1981 toccò alle millenarie miniere di ferro dell’Isola D’Elba. Il declino si accentuava fortemente in ogni settore e l’inevitabile crollo avvenne nel corso del 1981, dando luogo alla quarta decadenza mineraria che la storia ricordi. Dopo le decadenze etrusche, dell’Alto Medioevo e del XVII secolo, quest’ultima si sta verificando in un periodo in cui consumi di materie prime minerarie sono in aumento per l’aumento della popolazione e delle sue esigenze.

Se le miniere italiane non sono più concorrenziali, potranno trovare nuova vita in un’ottica di valorizzazione turistica e culturale?

GNM Giornata Nazionale delle Miniere

Oggi il patrimonio culturale viene concepito sempre meno come creazione di specialisti (intesi come arbitri di ultima istanza di ciò che è e di ciò che non è patrimonio), e sempre più come risultato di un processo di costruzione sociale in cui chi decide non sono più gli esperti, ma le comunità che eleggono ciò che è meritevole di protezione e valorizzazione in base a una propria scala di valori connessi alla salvaguardia della propria identità storica e della propria memoria sociale. Niente come il patrimonio minerario è oggi specchio di queste tendenze.

Esistono più di 3 mila siti minerari dismessi su tutto il territorio nazionale, un patrimonio naturale, di valore paesaggistico, storico-artistico, archeologico, industriale, di storia e cultura d’impresa del lavoro, con enormi potenzialità turistiche, culturali, sociali e di ricerca scientifica. La promozione del turismo minerario quale turismo responsabile e sostenibile, attento all’ambiente ed alle comunità, è quanto mai urgente ed attuale.

La “Giornata Nazionale delle Miniere”, dedicata alla memoria mineraria, nasce  con l’obiettivo di promuovere le miniere “culturali”, in collaborazione con l’Associazione Italiana per il Patrimonio archeologico industriale (AIPAI).

Arrivata alla sua quindicesima edizione, la GNM rappresenta ormai un appuntamento fisso con un calendario nazionale di eventi minerari che percorre i comuni italiani da Nord a Sud.

L’offerta delle iniziative si presenta sempre più variegata: dalle visite guidate al trekking in miniera, dai convegni, workshop e seminari, ai concerti, alle mostre e agli spettacoli teatrali all’interno dei siti minerari. Ancora escursioni, anche notturne, in bicicletta, degustazioni, mercatini e persino occasioni per cercare l’oro, assistiti dagli esperti. I siti minerari, generalmente lontani da grandi centri urbani, rappresentano un elemento chiave nella valorizzazione turistica delle aree interne.

Rete ReMi

È con l’obiettivo di promuovere le “miniere culturali” che, nel 2015, nasce la ReMi, la Rete Nazionale dei Parchi e Musei minerari d’Italia. La Rete nazionale opera sull’intero territorio per favorire il recupero e la valorizzazione dei siti minerari dismessi promuovendo lo sviluppo del turismo minerario in Italia.

La ReMi ha creato, per la prima volta in Italia, un sistema di relazioni continuo tra istituzioni e gestori dei parchi e musei minerari, capace di mettere a giorno le problematiche comuni, nel tentativo di promuovere un settore che può essere volano di sviluppo economico per i territori, soprattutto se integrato con i circuiti dei cammini e vie storiche, dei borghi italiani, delle ferrovie turistiche, della mobilità dolce a piedi ed in bicicletta, dei luoghi dell’enogastronomia di qualità.

La Rete ReMi conta oggi 74 siti rappresentati, tra cui i quattro parchi minerari nazionali istituiti con Decreto-legge e la maggior parte delle realtà minerarie riconvertite ad usi museali e culturali.  Tutte le aree geografiche e 14 regioni sono rappresentate, con la dominanza della Sardegna (19) seguita dalla Toscana (16) dalla Lombardia (8) e dal Trentino Alto Adige (6).

Passaporto delle Miniere

Il “Passaporto turistico REMI” si inserisce tra gli obiettivi della rete REMI che afferiscono al tema della comunicazione, finalizzati alla promozione dei temi della conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio minerario dismesso. Ha lo scopo di incoraggiare l’interesse per la conoscenza del territorio e creare opportunità per diffondere cultura e turismo sui temi del patrimonio minerario dismesso. Il turista visitatore ritirerà il libretto nei musei/Parchi/siti aderenti alla rete, da “riempire” con un timbro dei musei minerari visitati in Italia. Al completamento delle visite testimoniate nel passaporto, verrà riconosciuto un ‘premio’. segue…

Disegno di legge

Il Disegno di legge 1274/2018 “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dei siti minerari dismessi e del loro patrimonio geologico, storico, archeologico, paesaggistico e ambientale”, è la prima proposta concreta di cornice normativa mai elaborata in Italia.

Prende le mosse dalla considerazione che sul territorio nazionale è presente un ingente patrimonio minerario che deve essere conservato, riconvertito, riqualificato ai fini turistici-culturali dato che in esso si riconoscono valori che l’Italia tutela e valorizza ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Promuovere in tutto il Paese i temi della tutela, valorizzazione e riconversione del copioso patrimonio minerario dismesso, è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile Goal 11 dell’ONU 2030 sulle città e comunità sostenibili, che intende pianificare il territorio in modo da proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale.

Extra

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