Chi non porta con sé il profumo della resina al sole? Chi non ha scrutato il cielo attraverso le chiome pungenti? Proviamo a raccogliere i percorsi che ci portano alla scoperta delle pinete del Tirreno.

“Fin dalla loro creazione alla fine del ‘700, le pinete costiere hanno fornito all’uomo la loro ombra, il frutto e il legname, contribuendo allo stesso tempo alla stabilità delle dune costiere.
In passato, sotto le pinete vi era solo prato, e la presenza delle bestie vaccine era sufficiente a garantirne la pulizia e il mantenimento. Adesso, invase come sono dalla vegetazione spontanea, queste importanti ricchezze naturalistiche sono in serio pericolo. Tale patrimonio troppo spesso viene dato per scontato. Invece è fragile e potrebbe andare perduto per sempre. È nostro dovere consegnarlo alle generazioni future così come noi lo abbiamo ricevuto, non limitandoci ad un semplice miope sfruttamento senza prospettive. L’azione di coordinamento delle autorità in questo campo è urgente e doverosa. La pineta, trascurata e bisognosa di urgenti cure e di potature, rischia a termine di scomparire.” segue…

Pinete

Testo tratto da “Salviamo la Maremma”, Italia Nostra…

“La fascia di pinete litoranee rappresenta per il territorio maremmano un elemento di grande caratterizzazione storica, paesaggistica ed ecologica. Con poche soluzioni di continuità, decorre dai confini settentrionali del Parco naturale della Maremma fino all’abitato di Castiglione della Pescaia.  L’effetto combinato di questo complesso quadro di caratteristiche la rende anche una decisiva risorsa per l’economia e per la qualità della vita dei comuni che la ospitano, ma è anche un patrimonio della nazione e, in senso generale, di tutta l’Europa.

La politica internazionale ed europea in materia di ambiente, sviluppo sostenibile e tutela della biodiversità, è imperniata sulla Direttiva Habitat, del 1992, con la quale venne istituita una rete di aree protette, detta Natura 2000, avente lo scopo di difendere particolari habitat di interesse comunitario, e di contribuire alla conservazione delle specie minacciate di estinzione. Tali aree sono denominate SIC (Siti di Interesse Comunitario).

Nello spirito della direttiva Habitat c’è l’auspicio che le singole aree protette possano costituire una rete integrata, che valga da innesco per una serie di azioni di gestione sostenibile delle risorse, e di tutela del territorio, tramite l’istituzione di corridoi ecologici di collegamento fra gli ecosistemi protetti, e con la possibilità di rappresentare punti di condensazione per l’istituzione di nuove aree protette.

Oltre alla direttiva Habitat, nell’area costiera sono presenti alcune delle più importanti zone umide europee, tutelate ai sensi della convenzione di Ramsar (1971). In questa ottica integrata, la pineta litoranea che, da Principina, si estende fino a Castiglione della Pescaia, rappresenta un decisivo corridoio biologico scarsamente antropizzato, che collega aree ad altissima valenza ecologica. Si rammenta infatti che nelle estremità della pineta (padule di Castiglione e padule della Trappola) si sovrappongono differenti e complessi strumenti di tutela (la Diaccia Botrona è, allo stesso tempo, zona Ramsar, SIC e riserva provinciale; la Trappola è contemporaneamente SIC, zona Ramsar e parco regionale). La pineta stessa, oltre ad essere area contigua della riserva provinciale della Diaccia Botrona, è anche un SIC (da Castiglione fino alle porte dell’abitato di Marina di Grosseto).

La pineta presenta delle criticità ecologiche, dovute al fatto che essa è essenzialmente una realizzazione antropica, e la mancata gestione può determinare situazioni di instabilità. Queste criticità potrebbero divenire esiziali, e causare un rapido degrado del bosco (a causa, ad esempio, di un parassita o di un incendio). La comunità perderebbe allora un bene inestimabile.

Le cause di possibile decadimento sono legate ai periodi di siccità (sempre più estremi e frequenti, almeno alle previsioni dei climatologi), e alla pressione antropica, che di massimizza nel periodo estivo. Appare allora logico e chiaro che, da un punto di vista della stabilità ambientale, sociale ed economica della comunità maremmana, sia indispensabile una gestione integrata con le aree protette già esistenti, sotto la tutela di una pianificazione adeguata.

In questo senso, appare evidente che il naturale sbocco di una seria e competente politica ambientale, attenta allo sviluppo economico e al benessere sociale, sia quello di comprendere tutte tali aree nel complesso dei perimetri del parco regionale, superando la frammentazione normativa e gestionale che al momento le caratterizza.

Aspetti ecologici

Le pinete costiere della provincia di Grosseto si sviluppano senza sostanziali interruzioni lungo tutta la costa tra la vasta pineta compresa nel Parco Regionale della Marella e Castiglione della Pescaia.

La specie dominante è il pino domestico con una sottile striscia di pino marittimo che vegeta al margine occidentale degli impianti di pino domestico. Mentre il pino marittimo svolge la funzione di protezione della retrostante pineta di pino marittimo dal vento salmastro di provenienza marina, il pino domestico era destinato alla produzione di pinoli, subordinatamente, di legno, anche se era – e rimane importante – la funzione protettiva del suolo dall’azione erosiva del vento.

Le pinete erano normalmente sfruttate per il pascolo ed in effetti le testimonianze più vecchie di queste formazioni fanno riferimento a pascoli alberati. Le pinete attualmente presenti sono nella maggior parte di origine artificiale, ossia derivano da impianti di varia estensione; i primi soprassuoli costituiti con tale metodo, oggi ovviamente scomparsi risalgono al XVIII secolo; sporadici pini sparsi in pascoli e macchie erano presenti anche in tempi precedenti.

Quasi tutti gli impianti sono stati eseguiti da oltre mezzo secolo, ma piccoli tratti (sono però presenti soprassuoli giovani estesi in prossimità del Campeggio delle Marze) sono di origine più recente. La proprietà delle pinete è privata. Le attività economiche legate alla coltivazione del pino sono spesso proseguite fino agli anni Novanta del secolo scorso ma sono praticamente cessate: nella maggior parte dei soprassuoli i diradamenti non sono stati eseguiti così come la raccolta delle pine. Spesso si è costituito un piano di vegetazione costituito da latifoglie sempreverdi tra cui prevale il lentisco e da sporadici ginepri.

La densità è in genere assai superiore a quella che si considera ottimale per la coltivazione del pino domestico, segno evidente di mancate cure colturali. La presenza di novellame di origine naturale è del tutto occasionale motivo per cui finora si è fatto sempre ricorso alla rinnovazione artificiale. La fascia di pinete litoranee riveste un alto valore estetico e ricreativo, come è dimostrato dalla utilizzazione di varie aree per l’edilizia turistica, sia in complessi compatti (Principina a Mare, Marina di Grosseto), sia con insediamenti sparsi nel bosco. Data la sua contiguità con la pineta di Alberese essa presenta anche un notevole valore naturalistico, in particolare per specie ornitiche non disturbate in genere dalle interruzioni costituite dai corsi d’acqua.

Le condizioni di vegetazione non sono sempre soddisfacenti. Oltre alla riduzione della vigoria vegetativa dovuta alla concorrenza nei casi in cui non sono stati realizzati i diradamenti, va segnalata la presenza di un parassita fungino negli apparati radicali – il Leptographium serpens – mentre Thyriopsis halepensis provoca ingiallimento e caduta degli aghi di due anni. Su piante debilitate sono facili gli attacchi di Tomicus destruens e Pissodes castaneus che portano alla morte le piante attaccate. E’ possibile che, come nella pineta di Alberese, si possano verificare crisi di vegetazione in caso di scarse precipitazioni data la prossimità della falda freatica salmastra. Questo stress è più probabile nel caso di pinete eccessivamente dense, nelle quali non siano stati effettuati i diradamenti ed il sottobosco, che peraltro è importante per favorire la biodiversità, sia eccessivamente denso.

(pineta di Viareggio)

Fotoracconto

(alcuni scatti pedalando nelle pinete del Tirreno)

Elenco dei percorsi

Pedalare all’ombra di una pineta, accompagnati dalla maestosità di alberi secolari a pochi metri dalla spiaggia.  La costa tirrenica custodisce un immenso patrimonio da  scoprire in sella alla bici   segue…

Approfondimenti

Dune e Pinete

Testo estratto da Gli habitat delle coste sabbiose italiane,  ISPRA 2015

Sui litorali in buono stato di conservazione si può riconoscere una ben definita zonazione (o sequenza) della vegetazione in cui si susseguono comunità vegetali con ben definiti caratteri floristici, fisionomici, strutturali ed ecologici. Lungo la zonazione dunale costiera troviamo i seguenti habitat: spiaggia emersa, dune embrionali e della duna non consolidata, versante interno della duna non consolidata e della duna fissa.

(da Liferedune)

In Italia le pinete  occupano il settore dunale più interno e stabile  e sono il frutto dell’opera di rimboschimento dell’uomo, in sostituzione dei boschi a querce sempreverdi,   impiantate in tempi diversi  e ormai diventate parte integrante del paesaggio costiero italiano.  Storicamente le pinete costiere sono state create e mantenute dall’uomo per diversi scopi, tra i quali la necessità di difendere dai venti marini i terreni coltivati retrostanti, la produzione di pinoli e l’utilizzo del legname e della resina. In alcune regioni d’Italia sono presenti pinete di interesse storico che hanno assunto valore culturale, paesaggistico, ma anche ecosistemico. In Italia sono poche le pinete ritenute naturali, tra queste in Sardegna le formazioni a Pinus halepensis del Golfo di Porto Pino, o quelle a Pinus pinea di Portixeddu-Buggerru.

Pino domestico

Specie rustica, si adatta ai suoli, preferendo quelli freschi e sabbiosi ed evitando quelli con ristagni umidi. Arriva fino a 200 anni e oltre di età, ma solitamente le pinete artificiali vengono rinnovate dopo 100 anni circa, quando comincia a diminuire la produzione di pigne da pinoli e le piante ad essere facilmente soggette a marciumi radicali e del legno.

L’areale del pino domestico è tipicamente mediterraneo. La sua distribuzione è considerata frutto di esigenze culturali, tese a sfruttare prevalentemente la produzione di pinoli. La maggior parte dei popolamenti ad oggi presenti sono quindi da considerare di origine artificiale. Nel Lazio la sua presenza è documentata a partire dall’epoca romana. Attualmente dalla costa, dove è presente in numerose pinete litoranee, si spinge all’interno  risalendo le colline fino a 600 metri.

(Tombolo di Cecina, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

La pioggia nel pineto

Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

 

Incendi e Canadair

Testo estratto dal post di Mario Giardini su “Noi soccorritori

Quando gli vai vicino, ti accorgi che è veramente un aereo brutto. Sporgenze, asperità, angoli, rivetti a profusione, vernice dello scafo scrostata dai mille ammaraggi, dadi e viti che sporgono allegramente qua e là. E l’ala, alta, che non mi piace per niente.  Chi sarebbe questo mostro? E’ il Bombardier Amphibious 415, noto da noi con il nome di Canadair. Vecchio nome, in quanto la Canadair Aircraft non esiste più: fu incorporata dalla Bombardier nel 1991, se non vado errato.

Il vecchio modello, il CL 215, era stato concepito nel lontano 1960, in Canada, per combattere il fuoco cui andavano soggette le sterminate foreste di quel Paese. Unico aeroplano al mondo che sia stato progettato espressamente per volare sugli incendi e combatterli. E’ una macchina  capace di imbarcare un totale di circa 6200 litri di acqua e ritardanti. Ma lo fa in una maniera molto speciale: ammarando su uno specchio d’acqua e, senza fermarsi, dopo avere riempito i serbatoi, ridecollando sullo slancio. Credo che alla maggior parte delle persone sfugga la pericolosità di questa manovra.

L’aereo si predispone all’ammaraggio. Ciò significa ali livellate, perfettamente livellate. Bisogna scegliere accuratamente la traiettoria rispetto alle onde. Perché basta un’onda di mezzo metro, presa male, per rovesciarsi, essendo questa una manovra che si fa ad una velocità di circa 166 e rotti km/h. Nel momento in cui lo scafo tocca l’acqua, il pilota apre una serie di paratie poste nella fusoliera. Risultato: in 7-10 secondi si imbarcano oltre 6000 litri d’acqua, l’aereo si appesantisce di più di 6 tonnellate, il pilota ridà tutto motore e ridecolla, diretto all’incendio.

Arrivato sull’area d’intervento,  plana sul fuoco, e sgancia il carico. Semplice? Per niente. La velocità di stallo del Canadair, full flap, è di 68 nodi. L’aria sopra un incendio è calda, turbolenta, quasi sempre piena di fumo. A causa della ridotta densità dell’aria, la portanza dell’aereo, cioè la forza che lo mantiene in volo, si riduce, talvolta drasticamente. Inoltre, se l’aereo è in virata, la velocità di stallo aumenta. Il risultato di tutto ciò è che 105 nodi potrebbero non bastare a generare una portanza pari al peso dell’aereo, che stalla. Siccome si è vicini al terreno, non c’è la quota ed il tempo necessari per rimediare allo stallo. Se s’innesca una vite, è anche peggio. Accade? Sì, purtroppo. E accadrà ancora. Tutte le attività umane sono, in qualche modo, pericolose. Questa è particolarmente pericolosa.

(foto da sangavinomonreale.net)

Pilotare un Canadair antincendio è dunque, un mestiere difficile, pericoloso, e, mi risulta, non remunerato abbastanza. Per chi abita a Roma non è infrequente vederli sul lago di Albano. D’inverno, per il training. D’estate, per imbarcare acqua. Albano è un lago sulla bocca di un vulcano (spento, si spera) dal diametro di circa 3 Km. Tutto intorno, pareti rocciose circondano il lago, alte da 90 a 120 m sulla superficie dell’acqua. Per rendersi conto: immaginate di decollare dalla pista 25 di Fiumicino e di vedere, prima della fine della pista, un edificio di 40 piani. Il Canadair di solito arriva lasciando a destra Castelgandolfo, si tuffa verso l’acqua, viene tirato in su, “galleggia” cioè sfrutta l’effetto suolo per tre-quattrocento metri, tocca la superficie, imbarca 5 tonnellate d’acqua in pochi secondi.

Quando ridà potenza i motori sembra che l’intera struttura stia andando in pezzi, e poi, siccome non ce la farebbe a superare l’ostacolo costituito dalla parete della montagna, vira e sale. Lentissimamente. Forse un 200 piedi al minuto, cioè un niente. In questa lunghissima virata a salire basta poco per ammazzarsi. L’aereo ha un alto angolo di incidenza e vola a bassa velocità, quindi è vicinissimo allo stallo; è al peso massimo, con i motori al massimo, per giunta a bassa quota, con un ostacolo di fronte e di lato, ed impossibilitato ad invertire la rotta causa peso e bassa velocità. Un calo di potenza o un aumento sia pur modesto dell’angolo d’incidenza e… fine. Insomma, ci vogliono attributi grandi come il Pan de Azucar per fare, come fanno questi piloti, decine di missioni al giorno. E tutto questo coraggio, questa abilità, questo sangue freddo, queste macchine brutte ma al tempo stesso bellissime, per che cosa vengono impiegate? Per spegnere, 97 volte su cento (in Italia), incendi appiccati da piromani.

Extra

Percorsi tematici

> Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? segue...

Letture

> Boom economico, bonifiche, colonie estive, divinità, idrovolanti, ferrovie, ... letture da sfogliare nelle pedalate lungo il Tirreno segue...

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(Monumento naturale La Frasca, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

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