Tra gli oggetti che costellano le nostre coste vi sono le colonie marine, patrimonio edilizio e testimonianza di un passato tutto ancora da metabolizzare.

Colonie estive

All’interno della rassegna di letture in compagnia del Tirreno e del tema “Spiagge“, una pagina dedicata alle colonie estive, edifici monumentali lungo le coste italiane, luoghi fragili e memorie di un passato tutto ancora da metabolizzare.

“[…] Il porticato sotto l’edificio non consente solo al disoccupato che passeggia sulla strada litoranea di continuar a vedere sempre il mare, ma fa del respiro del mare e del monte una sola atmosfera. […] È importante che i ragazzi sentano subito, in quel rispetto che l’architetto ha avuto delle forze e delle bellezze della natura, la gioia del respiro libero.” (Raffaello Giolli)

(alcuni scatti delle colonie sul Tirreno)

Elenco dei percorsi

I percorsi con cui andare alla scoperta delle colonie lungo il mar Tirreno segue…

Indietro nel tempo

Testi estratti daDai fasti degli anni ’30 al declino dei ’70 le colonie marine tra cura e vacanze“, Sara Bertuccioli;  “Un patrimonio sociale. Cosa rimane delle ex colonie per l’infanzia in Italia“,  Sofia Nannini; “La situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane”,  Legambiente; mostra “Colonie per l’infanzia“; “Andare per colonie estive“, Stefano Pivato

Cura e propaganda

Le colonie per l’infanzia sono un fenomeno sociale complesso, le cui radici affondano negli sviluppi igienico-sanitari dell’Ottocento, legati alla cura delle malattie infettive dell’apparato respiratorio. In Italia, le prime colonie uniscono sperimentazioni mediche, cure climatiche e modelli di beneficenza borghese, come nel caso degli ospizi marini, promossi dal medico toscano Giuseppe Barellai a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Il mare e il sole hanno funzione curativa sui bimbi affetti da malattie tubercolari, tanto da essere definiti ‘antitubercolari’.

(colonia Lodolo a M.C.Carducci, archivio Touring)

Nel corso del Novecento, le colonie acquisiscono altri significati, in particolar modo legati all’educazione delle masse e alla costruzione di un’identità politica nelle giovani generazioni, promossi sia dai regimi totalitari che da governi democratici.

In molti casi, queste costruzioni anticipano l’urbanizzazione di nuove mete turistiche costiere e montane, rese accessibili dalle nuove linee ferroviarie in costruzione.

Fascismo e industrie inaugurano un nuovo capitolo. Alle colonie volute dai Fasci di combattimento e da enti statali come l’Opera nazionale Balilla (ONB) e l’Opera nazionale maternità e infanzia (ONMI), si aggiungono quelle associate alle industrie, tra cui Fiat, Edison, Dalmine, AGIP, …..

(Torre Balilla a Massa Marittima)

Nel 1937, l’istituzione della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) porta ad un controllo totalitario sull’assistenza alla gioventù. Vengono incorporate Onb e Federazione giovanile dei fasci combattenti. Nello spazio di un decennio vengono edificate oltre 4000 colonie, concentrate soprattutto sul litorale toscano e romagnolo.

Le colonie sono uno strumento prediletto dal regime di Mussolini per la costruzione del consenso e l’educazione paramilitare della gioventù. In pochi anni  diventano inoltre un campo straordinario di sperimentazione architettonica e tecnologica, in linea con le finalità formative e militari del regime.

In Italia si scatena la fantasia dei progettisti per renderle un punto di osservazione molto particolare. A differenze di Francia ed Inghilterra, dove gli edifici pubblici si caratterizzano per una impronta uniforme, nel nostro paese si enfatizza l’effetto scenografico, costruendo edifici a forma di navi, locomotive, aerei.

Gli edifici acquisiscono una monumentalità in grado di stupire, per lasciare l’impressione che il regime si prenda cura dell’infanzia in maniera non banale. Non a caso le riviste specialistiche degli anni Trenta sottolineano che lo scopo è quello di dare ai piccoli ospiti un ricordo indelebile delle strutture in cui trascorrono le vacanze.

(colonia Gustavo Fara, Chiavari)

Le colonie diventano il modo di sperimentare il linguaggio architettonico in chiave funzionalista e razionalista. Strutture imponenti, progettate dai migliori architetti del tempo che hanno carta bianca: l’obiettivo è quello di comunicare la modernità, intesa come valore dell’avanguardia e del regime.

“Tutto in esse, dalle linee astratte e dai volumi agli svolgimenti delle piante, […] dall’ampiezza e tipo dei serramenti al disegno delle ringhiere, dagli intonaci ai pavimenti, […] tutto concorre a comporre la forma plastica, l’immagine visiva, in cui si immedesimerà per sempre, nella memoria di questi ragazzi, il ricordo del soggiorno in colonia. I più, usciti da tuguri o da modeste case popolari, da ambienti familiari inquieti, sentiranno qui per la prima volta […] gli stimoli a lasciarsi sia pure passivamente penetrare dalla suggestione di un gusto, i primi stimoli all’apprezzamento di una forma architettonica, non veduta solo da fuori, ma adoperata per viverci dentro”. (Mario Labò)

Si tratta di un patrimonio non unitario, ma frammentato per promotori, località e scopi, che segue l’andamento delle politiche del regime fascista tra gli anni Venti e l’inizio degli anni Quaranta, in costante tensione tra centro e periferia.

Alle tante costruzioni minori progettate a livello locale, sul lungomare o nelle campagne, fanno da contraltare le grandi colonie:Costanzo Ciano” a Milano Marittima, “Figli italiani all’estero” a Cattolica, “Regina Elena” a Calambrone in Toscana,  “Gustavo Fara” a Chiavari.

Durante la guerra, le colonie sono riutilizzate per scopi strategici. Tante strutture ospitano migliaia di bambini, figli e figlie dei coloni italiani in Libia. Nei lunghi mesi del fronte interno e anche dopo la fine del conflitto, alcune sono trasformate in sedi di ospedali militari.

(colonia “XXVIII ottobre” a Cattolica)

Fascismo e giovani

Il fascismo pone molta attenzione alla crescita demografica, alla cura e al rafforzamento della razza italiana come elementi chiave per la grandezza dell’Italia e per lo sviluppo delle sue politiche di potenza. Per questo il regime fa dell’assistenza all’interno delle organizzazioni di massa legate al Partito nazionale fascista un perno della propria azione: l’Opera nazionale del dopolavoro, l’Opera nazionale maternità e infanzia così come l’Opera nazionale Balilla sono solo alcuni esempi delle strutture create dal regime con questo fine.

(dalla mostra “Colonie per l’infanzia“)

Tali organizzazioni hanno non da ultimo lo scopo di generare consenso e di legare gli italiani al fascismo e al suo capo, Benito Mussolini. Le giovani generazioni sono oggetto di una campagna di propaganda particolarmente intensa. È attraverso la loro educazione in senso fascista che si vuole formare l’uomo nuovo, credente fedele nel regime, pronto a dare la vita per il duce e per la sua ideologia e la donna fascista moglie e madre dei soldati di Mussolini. Le colonie estive sono uno degli strumenti utilizzati dal regime per l’inquadramento dei bambini e degli adolescenti. segue…

(Bambini a Pietra Ligure)

Dopoguerra e boom

Alla fine del conflitto, le colonie risultano pesantemente danneggiate a causa dei bombardamenti e delle occupazioni militari e civili.

A partire dagli anni cinquanta le colonie hanno una nuova vita: accantonata la propaganda, si punta alle funzioni sanitarie e ricreative, anche per recuperare i ragazzi dagli effetti del conflitto bellico.

L’attrattività del mare determina, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l’inizio del turismo di massa. La costa diventa uno dei principali motori dell’economia turistica. La speculazione edilizia degli anni successivi porta alla costruzione di alberghi, stabilimenti balneari ed edifici residenziali, con massimo risparmio in termini di materiali, tecnologie, rifiniture e creatività.

(Forte dei Marmi, 1964)

Si assiste ad una ulteriore frammentazione dell’edilizia destinata ad attività assistenziali estive. Non più coordinate da una unica regia, le colonie tornano in mano ad una pluralità di attori che si fanno promotori di una densa attività edilizia.

La costruzione di nuove colonie è inarrestabile. Gestite da enti pubblici e privati, laici e religiosi, queste strutture fanno parte di una bonifica di tutto il litorale, con lotti svenduti a poche lire. Senza le pretese architettoniche del trentennio precedente, le nuove colonie assomigliano più ad alberghi ‘alla buona’.

Tramonta il grande sperimentalismo tecnologico e figurativo promosso dal fascismo,  lasciando il posto ad una tipologia architettonica più sobria e anonima, che oggi si confonde nel tessuto urbano costruito.

La voce del mare (Gianni Rodari)
La voce del mare nella conchiglia
ascolta il bambino e si meraviglia.
“Pronto? Ti aspetto” il mare dice,
“ho navi e isole per farti felice”.
Vorrebbe rispondere il bimbo al mare:
“Prepara i pesci, verrò a pescare”.
Ma non è certo di parlar bene
la lingua dei pesci e delle sirene.

Declino

Dalla seconda metà degli anni Settanta, l’esperienza delle colonie per l’infanzia declina in tutta Europa, Italia compresa. Le cause sono da cercare nell’aumento del reddito delle famiglie a seguito del boom economico. Le famiglie iniziano a scegliere autonomamente dove passare le vacanze.

La progressiva individualizzazione del tempo libero e di vacanza ha minato alla base il concetto della colonia, il cui fenomeno si è di fatto estinto nel giro di pochi decenni. La colonia nell’immaginario collettivo si trasforma in una punizione, da paventare come minaccia nei confronti dei bambini capricciosi. Il crollo demografico e i tagli dei comuni alla spesa sociale fanno il resto.

(colonia IX maggio a Sarzana, Fabio Gubellini)

La possibilità di essere abitata è, apparentemente, una delle caratteristiche fondamentali dell’architettura. Tre delle riviste d’architettura italiane più diffuse e autorevoli si riferiscono, nella loro intestazione, all’abitare: Casabella, Domus, Abitare. Eppure, vi è una singolare assenza nella maggior parte delle foto che esse pubblicano: anche se si tratta di illustrare edifici residenziali, il fotografo pare sempre rifuggire la presenza umana, come se questa contaminasse la purezza dello spazio rappresentato o ne intaccasse la forza evocativa. Dove sono finiti gli abitanti di quegli spazi? Questa assenza è forse indizio di una frattura tra architettura e uomo, di una crisi nel rapporto tra costruire e abitare? E cosa possono dirci le immagini, siano esse fotografiche o in movimento, al proposito? (dalla mostra “Architetture inabitabili“)

Le grandi dimensioni del patrimonio ereditato dal ventennio fascista contribuiscono all’abbandono di queste strutture. Alcune scene del film Zeder, diretto da Pupi Avati nel 1983, mostrano come la colonia Varese di Milano Marittima, con le sue grandi rampe in cemento armato, sia già abbandonata all’inizio degli anni Ottanta. Stessa fine per tante ex colonie nella Penisola, come ad esempio la “Vittorio Emanuele III” a Ostia Lido.

In molti casi, è proprio la grande modernità della tecnologia costruttiva originaria ad accelerare il processo di degrado. Strutture generalmente in cemento armato, talvolta costruite sperimentando materiali autarchici in cantiere, a cui si sono aggiunti ulteriori strati materiali nei decenni del dopoguerra.

Ciò che rimane adesso sono città deserte: dove una volta il silenzio era associato ai riposini pomeridiani e spezzato dalla vivacità dei piccoli ospiti, ora è tutto un mutismo irreale sottolineato dagli ingressi murati delle strutture.

(Lorenzo Mini, 2017)

Sacco edilizio

Le storiche colonie, generalmente poste a ridosso della spiaggia e circondate da vasti spazi verdi, diventano preda ambita di affari edilizi senza precedenti.  Le colonie più modeste si trasformano in pensioni a gestione familiare; altre cambiano destinazione, divenendo residenze di lusso grazie alla loro posizione privilegiata di fronte al mare.

(colonia P.di Piemonte a S.Severa nel 1935 ed oggi)

Gli anni del regime fascista in Italia lasciano dietro di sé un consistente patrimonio architettonico e monumentale, che ancora caratterizza lo spazio pubblico di molte città italiane, nei tessuti urbani costieri, montani e rurali: centinaia di ex-colonie costellano la penisola italiana e sono in attesa di progetti di riqualificazione e riuso.

Ignorata per decenni, per necessità o imbarazzo, solo di recente questa eredità viene interpretata da numerosi studiosi sotto una nuova luce, attraverso la definizione di “difficult heritage”, coniata dalla studiosa Sharon Macdonald per analizzare il patrimonio del regime nazista e adottata anche in Italia per discutere dell’eredità architettonica associata al fascismo.

(la mostra del 1937)

L’immaginario politico e militare continua a riverberare dalle architetture monumentali. I simboli espliciti del regime (iscrizioni, fasci littori, …) sono scomparsi nell’utilizzo continuativo nel dopoguerra, ma la loro finalità originaria rimane impressa nelle geometrie.

(colonia 28 ottobre, Cattolica)

Spesso la matrice bellica di queste strutture è svelata dalla disposizione planimetrica, che talvolta allude in modo evidente ad un immaginario militare. Un esempio celebre è l’ex “Colonia per figli d’italiani all’estero” (XXVIII Ottobre) presso Cattolica. Inaugurata nel 1934, la struttura si compone di quattro dormitori posizionati simmetricamente rispetto al padiglione centrale, richiamando l’immagine di navi corazzate pronte per salpare verso l’Adriatico.

Negli ultimi anni, le tante ex colonie sono oggetto di fascinazione fotografica, complice l’attrazione esercitata dalle architetture abbandonate, dalle dimensioni imponenti, quasi sempre collocate in posizioni paesaggistiche strategiche.

(Dan Dubowitz, 2010)

Rigenerazione

A parte pochi esempi virtuosi, si assiste ad una generale indifferenza riguardo tali immobili e le loro storie, spesso rese complesse dalla frammentazione proprietaria, dalla dimensione dei fabbricati e dalle trasformazioni del paesaggio circostante.

Dove sono state lasciate cadere in rovina, ci si trova di fronte alle macerie di veri e propri ruderi, spazi abbandonati e anche pericolosi, molto spesso resi inaccessibili per questioni di sicurezza. Altre volte, sono diventate rifugi per senzatetto o attività di malaffare.

(Colonia Firenze a Calambrone, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Il pesante degrado influenza la qualità delle spiagge coinvolte e mortifica la qualità di alcuni periodi della storia dell’architettura, tra fascismo e razionalismo, che hanno visto a lavoro anche grandi maestri.

Sono rari i casi di restauro e rifunzionalizzazione delle ex colonie in contenitori non riguardanti l’ospitalità turistica. La Colonia Agip (già Sandro Mussolini) di Cesenatico è diventato un ostello. La colonia “Torre Balilla”  a Marina di Massa continua ad essere utilizzata come centro di vacanza. La colonia “Vittorio Emanuele III”  di Calambrone è diventato un hotel di lusso, quella di Cattolica è oggi un acquario.

(colonia Agip di Cesenatico)

Molti di questi edifici suscitano l’attenzione di investitori privati, che ambiscono a trasformare i relitti del fascismo in hotel di lusso. Questo interesse speculativo, destinato a un’élite a spese della comunità locale, sembra non preoccuparsi della funzione originaria di queste strutture.

Un caso evidente è la recente trasformazione, dopo anni di aste e trattative, dell’ex colonia Gustavo Fara di Chiavari in un hotel esclusivo. Il sito ufficiale evidenzia l’ambizione di ridefinire «la nuova dimensione del lusso in riviera», presentando il complesso come «un edificio storico dell’architettura futurista», che «riflette la cultura futurista ed espressionista del periodo». Scorrendo il sito, non si trova una sola parola sul contesto storico nel quale l’edificio fu inaugurato, nel 1938, né sul periodo in cui ospitò i profughi provenienti dall’Istria, né tantomeno sull’origine del nome – Gustavo Fara, generale attivo nelle guerre di Eritrea e Libia nei primi anni del Novecento. Il recupero dell’ex colonia sembra aver restaurato solamente la dimensione estetica dell’architettura, senza occuparsi di dare informazioni e creare consapevolezza sulle tante storie complesse e stratificate che hanno interessato l’edificio nel tempo.

Questa difficoltà non è una prerogativa unica delle colonie italiane. Il caso di Seebad Prora, colossale struttura turistica promossa dall’organizzazione nazista Kraft durch Freude sull’isola di Rügen, costruita a partire dal 1936, presenta molte analogie con alcune ex colonie del fascismo. Nonostante il salto di scala (Seebad Prora ha uno sviluppo lineare di oltre quattro chilometri) la storia controversa dell’edificio ancora si percepisce in modo altalenante nelle iniziative di recupero e rifunzionalizzazione. Con il rischio di perdere il contatto con la realtà storica.

(il colosso di Prora in Germania)

Gli spazi dove l’esperienza delle colonie si concretizza sono spesso definiti “eterotopie”. Luoghi altri, lontani dalla vita quotidiana, dove si è tentato di realizzare il sogno di una società alternativa attraverso l’educazione della gioventù. L’abbandono delle colonie per l’infanzia ha lasciato dietro di sé una doppia dimensione di vuoto nei territori, soprattutto nelle località turistiche.

Con la chiusura delle colonie è venuta anche a mancare la comunità che abitava, seppur temporaneamente, questi spazi. Oggi, la comunità degli ospiti delle colonie si può ritrovare sui tanti gruppi Facebook che raccolgono ricordi e fotografie dei bambini e delle bambine di un tempo. Qual è la comunità che invece ora può abitare gli spazi fisici delle tante ex colonie?

Questa storia non riguarda solo le generazioni passate. Al contrario, è quanto mai necessario riportare oggi  l’attenzione sulle politiche di colonialismo interno del regime, le operazioni di rafforzamento del popolo italiano in chiave militare e razziale e le tante comunità diverse, militari e civili, che hanno trasformato queste strutture in luoghi di memoria.

Discutere, oggi, di colonie abbandonate è un pretesto per confrontare le tante tracce architettoniche e materiali che il Novecento ha lasciato dietro di sé come rovine nel paesaggio, luoghi di memoria e patrimonio fragile. Le colonie evidenziano infatti l’innata debolezza dell’architettura contemporanea, complessa da tutelare a causa del suo passato recente e delle tecniche costruttive adottate.

Le dimensioni estese del patrimonio edilizio ereditato dal Novecento pongono ora problemi di recupero e di rifunzionalizzazione che, se necessario, potrebbero talvolta essere risolti con la demolizione degli edifici minori, per liberare le aree costiere dai segni più marcati dell’antropizzazione che ha caratterizzato gli anni del boom economico.

Le colonie sono oggetti architettonici che offrono un campo d’indagine privilegiato, grazie al quale si possono affrontare tematiche di mantenimento della memoria storica, trasformazione dei paesaggi naturali e cambiamenti d’uso, anche in ottica internazionale: si tratta infatti di un fenomeno sociale che ha interessato numerosi paesi in tutto il mondo, lasciando dietro di sé un patrimonio frammentato e difficile da interpretare con un unico sguardo. Come afferma la storica e sociologa francese Amélie Nicolas, affrontare il presente delle tante colonie in abbandono significa superare una lunga serie di impasse – politiche e economiche – alle quali è possibile rispondere con l’immaginazione di nuovi futuri, tramite installazioni artistiche, riscoperte collettive, che possono diventare alternative valide alla speculazione edilizia e all’assenza di memoria.

Nasce quindi l’urgenza di recuperare il patrimonio costiero vacante e abbandonato dentro progetti di adattamento più ampi, anche attraverso demolizioni e interventi di risarcimento del suolo, per restituire spazio pubblico agli abitanti, in continuità con le spiagge e il mare. Una occasione per promuovere progettualità dolci, a basso impatto, aumentandone la porosità, facilitando la ricostruzione dei cordoni dunali e restituendo il più possibile al mare.

Lungo le coste o in vallate alpine, le tante ex colonie sono il segno tangibile delle generazioni che si sono succedute. Lo studio di questi edifici è un modo per comprendere come la società contemporanea sia in grado di porsi nei confronti del patrimonio sociale, culturale, antropologico – un patrimonio relativamente recente e che tuttavia sembra giungere a noi da una preistoria lontana, già in forma archeologica.

Mappa

Nella mappa seguente proponiamo una piccola selezione delle colonie vista Tirreno. Ben vengano segnalazioni. Un elenco più dettagliato è disponibile sul sito lecolonie.com

Approfondimenti

> Quanti simboli, quante memorie, quanti ricordi fioriscono con la vicinanza del mare? Siete anche voi affascinati dai segni che il tempo e lo spazio hanno disseminato lungo il percorso? Aiutateci ad arricchire questo capitolo, perchè le storie tornino a parlare.

Podcast Le colonie

Milioni di bambini italiani, nel corso del ‘900, hanno fatto la loro prima esperienza di «vacanza» con un soggiorno in colonia. Ne parliamo con Stefano Pivato e Paola Russo. (12 Ago 2023, podcast del Pescatore di Perle)

(Colonia R.M. Mussolini, Calambrone – Alinari)

Vacanze di guerra

Il 1 giugno 1940, mentre le truppe hitleriane stanno travolgendo Parigi, sei grandi navi della Marina Militare Italiana lasciano la Libia, dirette verso l’Adriatico settentrionale. A bordo non ci sono soldati, ma bambini, 13.000 bambini, tra i quattro e i dodici anni tutti figli di quei ventimila contadini che il regime ha convinto pochi mesi prima a mettere radici sulla “quarta sponda” d’Italia. I genitori li salutano dalla banchina del porto.

I bambini sono invitati a passare un mese di vacanza di sole e mare nelle colonie estive dell’Adriatico: Cattolica, Igea Marina, Cesenatico. Il ritorno è rimandato mese dopo mese. Per i piccoli coloni comincia una sorta di sequestro organizzato che li strapperà alle loro famiglie per più di sette anni. Migliaia di bambini, partiti con un grembiulino estivo e i sandaletti per una breve vacanza lontano dai genitori, ritorneranno a casa ormai adulti, in un mondo trasformato da anni di conflitto. (la puntata di Raistoria)

Colonie e idrovolanti

(Colonia Costanzo Ciano, Milano Marittima)

> Le vicende degli oltre 150 aviatori italiani che, a bordo di idrovolanti di legno, hanno compiuto la prima trasvolata atlantica collettiva di tutti i tempi: la Crociera Orbetello – Rio de Janeiro. segue...

Extra

Spiagge

> Cosa sarebbe un mare senza una spiaggia? Al termine di un temporale o all’avvicinarsi di un tramonto, tra un bagno rinfrescante e una passeggiata sul bagnasciuga. Che sia in piena estate o d’inverno. Profumi e cantilene che portiamo dentro una generazione dopo l’altra. Diversi itinerari in bici lungo la futura ciclovia Tirrenica ci permettono di avvicinare la meraviglia dei granelli di sabbia.  segue...

Letture

> Boom economico, bonifiche, colonie estive, divinità, idrovolanti, ferrovie, ... letture da sfogliare nelle pedalate lungo il Tirreno segue...

Percorsi tematici

> Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? segue...

Boom e Sorpasso

> Con il film “il Sorpasso” il grande pubblico scopre negli anni ’60 la bellezza della costa tirrenica tra la provincia di Livorno e Grosseto. Le strade invase dalle quattroruote, le spiagge brulicanti, i locali notturni, Castiglioncello e Viareggio templi dell’evasione, del tempo libero e gaudente. Passati 50 anni ed esauritasi la spinta dell’automobile, è ora il tempo di rilanciare la bicicletta anche in Italia? segue...

Progetto TirrenicaZERO

> Un progetto per provare, dal basso, ad aggregare informazioni per partire in bici lungo la futura CicloVia Tirrenica. In attesa di un sito ufficiale che ci lasci liberi di pedalare, aiutateci a rendere questo spazio utile a tutti coloro in cerca di itinerari da Ventimiglia a Roma (...e oltre) segue...

Il vostro contributo

> Innamorat@ anche voi delle pedalate vista mare? Date una occhiata al progetto e alla squadra operativa. Partecipate con passaparola, proposte, feedback, ... Le amministrazioni non vedono le potenzialità della CicloVia? Mostriamo loro il contrario. Facciamo conoscere insieme la futura Tirrenica. segue...

(Colonia Regina Elena a Calambrone, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Colonie marine
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